Sabato 30 settembre 2017
ore 20,00 – Piazza Cota MONICA SARNELLI LIVE |
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ore 21,00 – Piazza Cota I DITELO VOI |
Anche la Festa di San Michele quest’anno risente del clima internazionale e le prescrizioni per garantire a tutti la serenità e la sicurezza si fanno giustamente più stringenti. Sintetizzando quello che poi leggerete nel dettaglio diciamo che la sosta dei veicoli sarà vietata su Corso Italia a partire dalla sera del 27 sino alle 24 del 1° ottobre. Che nei giorni della festa il Corso sarà chiuso al traffico dalle 18,00 alle 24,00 e nelle altre ore sarà vietato il transito agli autobus (esclusi quelli EAV) ed agli autocarri fino a 35 q.li. Cosa ancora più importante il traffico veicolare dal 28 settembre alle 14,00 sino a tutto il 1° ottobre, nei periodi di apertura al traffico del Corso, dovrà rispettare come limite di velocità massimo i 10 km/h.
Ed ora riportiamo integralmente il dispositivo di traffico per la Festa Patronale: (come da ordinanza n. 116 del 26/09/2017)
Il Comune di Piano di Sorrento riapre i termini per la presentazione delle manifestazioni di interesse da parte dei singoli cittadini finalizzate alla nomina dei nove componenti per ciascuna delle seguenti consulte:
1) Consulta delle Attività produttive e del Turismo;
2) Consulta delle attività culturali-artistiche dello sport e del tempo libero;
3) Consulta dell’Ambiente, Territorio, Ordine Pubblico, Viabilità e Protezione Civile;
4) Consulta delle attività sociali e dell’Istruzione;
5) Consulta dei Borghi di Piano di Sorrento;
il nuovo termine è fissato per il giorno 15 novembre 2017. Per chi fosse interessato alleghiamo il modulo per presentare la domanda. Si precisa che ogni singolo cittadino puo’ presentare domanda per una sola delle consulte.
A distanza di qualche giorno mi tocca tornare sul tema a me caro del giuspatronato. Ci debbo tornare poiché sui social e su qualche giornale il dibattito s’infiamma e spesso si scrive senza cognizione di causa. In primo luogo occorre sfrondare i vari interventi da tutta l’inutile retorica di cui sono infarciti. Ripuliti gli interventi di questi unitili orpelli che servono solo a mascherare l’esiguità degli argomenti di chi cerca di affossare una bella tradizione di concreto rimane ben poco, poco che cercherò di andare a d esaminare.
“Chi siamo noi per giudicare un sacerdote?”
E’ vero che noi cittadini nel votare operiamo una scelta e quindi “giudichiamo”, ma giudichiamo solamente chi, a nostro parere, è il sacerdote più adatto a guidare la parrocchia in base a parametri squisitamente soggettivi. Voler forzare la mano ed intendere tale giudizio esteso alla stessa figura dei sacerdoti candidati vuol dire non conoscere il regolamento diocesano che porta all’elezione del Parroco.
La procedura inizia con una cinquina di sacerdoti che viene scelta dal presbiterio diocesano con voto segreto tra tutti i sacerdoti dell’Archidiocesi che abbiano le doti e le attitudini spirituali, morali, pastorali e culturali per reggere il popolo di quella determinata parrocchia (art. 4). Il Vescovo, sentito il Consiglio Presbiterale Diocesano, da quella cinquina ne sceglierà tre da sottoporre al voto popolare (art. 6). E’ chiaro che da una simile e qualificata selezione emergeranno tre sacerdoti le cui qualità non possono essere messe in discussione. Quindi nel voto non giudichiamo il sacerdote in quanto tale ma si esprime solo una preferenza su chi dei tre, le cui qualità sono state già acclarate con una procedura ben codificata, sia a nostro avviso il parroco ideale.
“Il diritto di giuspatronato è anacronistico anche perché ormai nessuna famiglia contribuisce al sostentamento del clero e della parrocchia”
Questa è un’altra delle obiezioni più frequenti con cui chi, come me, difende questa tradizione deve scontrarsi. Anche questa sembra un’argomentazione difficile da demolire, sembra a chi non conosce la storia e non si prende la briga di documentarsi. Sull’anacronismo dobbiamo convenire che la Chiesa è infarcita di Riti anacronistici che visti da chi è culturalmente lontano da essa sembrano senza senso. Io adoro i Riti della Settimana Santa quindi vi prego di non fraintendermi e non montare un caso anzi vi chiedo con me di fare uno sforzo e per un momento guardare a questi Riti con gli occhi di un alieno. Vedreste in una notte di inizio primavera centinaia di adulti in giro per le vie del paese incappucciati e recanti vassoi pieni di cianfrusaglie (dadi, guanti, monete etc.) alla luce di lanterne a cera, più anacronistico di questo! Eppure per noi carottesi tutto ha un senso, tutto ha una ragione e mai ci sogneremmo di definire questi riti secolari anacronistici, di certo sarebbe più consono utilizzare ad esempio luci led al posto delle lanterne di cera ma ovviamente si rispetta la tradizione.
Sul sostegno economico alla parrocchia, che è fondamento del giuspatronato, bisogna ammettere che attualmente le famiglie non finanziano più con regolarità il nostro clero anche se in caso di necessità sono sempre intervenute, si pensi alla raccolta fondi per il restauro della nostra Basilica dopo il terremoto del 1980 o alla realizzazione delle porte di bronzo, ma la risposta sul permanere del diritto di giuspatronato la ritroviamo come spesso accade nella Storia.
C’è un prezioso libretto di don Vincenzo Simeoli intitolato appunto “Jus Patronatus” che venne dato alle stampe nel luglio del 2000 in soli 200 esemplari. Dal testo apprendiamo che il 10 ottobre 1822 Re Ferdinando con un editto invitò i patroni a pagare il dovuto per il mantenimento del clero. L’invito non venne rispettato dalle 7 parrocchie e quindi il diritto di giuspatronato doveva considerarsi estinto. Accadde però che gli arcivescovi del tempo con esplicita dichiarazione fecero conoscere che volevano che i figliani di quelle parrocchie rimanessero nel loro diritto a condizione che entro 6 mesi avessero provveduto all’integrazione delle doti così come previsto dall’editto di Re Ferdinando I. Nell’archivio della Curia sono conservati gli atti notarili che vincolavano le rendite per il fine stabilito e questi atti sono inseriti nella pratica di elezione di ogni parroco eletto dopo il 1822. Quindi quelle rendite dai nostri avi vincolate alle necessità delle parrocchie ancora esistono ed ancora producono reddito e l’hanno prodotto in tutti questi decenni ed è su questa base che si fonda il permanere del diritto di giuspatronato. Ed è per questo che il Vescovo o il Papa non potranno mai revocarlo se non con un accordo con la controparte (noi fedeli), il nostro giuspatronato non è un privilegio ma un diritto derivante da un onere che tuttora grava sulla collettività (mancato godimento di quelle rendite da parte nostra a favore delle parrocchie). Quindi il tutto puo’ configurarsi come un vero e proprio contratto cui la singola parte (fosse pure il Papa) non puo’ derogare.
Vi sono poi altre obiezioni di minore o nulla importanza, c’è chi paventa un pericolo di divisione tra i fedeli a causa di una eventuale campagna elettorale citando esempi recenti. Beh in una tradizione secolare di eventi del genere se ne ricorda solamente uno, quello recentissimo relativo all’ultima elezione, un po’ deboluccia come motivazione, se su 100 elezione una è andata male è quest’ultima l’eccezione e non la regola! Leggere poi che le elezioni sono “scempio ecclesiale opera del demonio” e che tale dichiarazioni arrivano dall’ultimo dei parroci eletti mi fa cadere letteralmente le braccia, dichiarazioni come queste sono anacronistiche e prive di senso!!!
Altra ridicola obiezione è che potrebbero recarsi alle urne anche i non battezzati. In teoria il problema si porrebbe ma in primo luogo la percentuale dei non battezzati è irrisoria rispetto al totale degli aventi diritto e se pure nell’improbabile ipotesi si recassero tutti a votare influenzerebbero poco l’esito della consultazione. Poi mi chiedo per quale motivo dovrebbero recarsi a votare? E se pure lo facessero che danno potrebbero fare? La scelta è comunque limitata a tre sacerdoti scelti con i metodi di cui sopra e quindi tutti meritori e di provata fede e capacità.
Insomma la lotta continua, non con le carte bollate (quelle le lasciamo volentieri ad altri), ma con lo spirito di chi vuole documentarsi e documentare perché questi, pur nel contrasto, sono eventi che fanno crescere la conoscenza della nostra storia e la consapevolezza che le nostre tradizioni sono preziosi tesori da custodire, preservare e tramandare, TUTTE senza eccezioni.
Già vi sento mormorare “e mo’ questo che vuol dire?” seguitemi, se volete, e capirete.
Sto leggendo in questi giorni come, da una conferenza stampa indetta dai fedeli di Sant’Agnello, sia emersa la loro volontà di procedere alla denuncia del nostro Vescovo per aver violato il diritto canonico e chiedere di conseguenza la revoca della nomina di don Francesco ad amministratore parrocchiale. Dico subito che è una scelta che, nel mio piccolo, non condivido per vari motivi. Il primo e più importante è che il nostro Vescovo in tutti questi anni non ha mai commesso violazione alle norme del diritto canonico o, per meglio dire, alla loro interpretazione letterale. E’ suo diritto, anzi è suo dovere, nominare un amministratore parrocchiale che governi la parrocchia sino all’elezione del nuovo parroco, con i limiti di cui al canone 540 comma 2. Detta carica è provvisoria ma, per quanti sforzi io abbia fatto, non ho trovato nessuna norma che fissi un termine alla sua durata. Quindi non vi è alcuna illegalità formale nel suo agire sino ad ora.
Mi direte “ma proprio tu hai parlato di reati, di illegalità ed ora ti rimangi tutto?”. Qui veniamo al secondo punto per cui le scelte santanellesi non mi convincono. In questi 11 anni in cui ho attaccato anche duramente la diocesi l’ho fatto avendo bene in mente che i miei strali erano diretti ad un’istituzione che dovrebbe porre in primo piano la coscienza, l’etica, il retto agire al di là delle fredde norme. Mi rivolgevo quindi alla coscienza del Vescovo e non ai suoi avvocati, i reati e l’illegalità erano riferiti alla moralità di certe scelte. Io sono sempre stato convinto che le tradizioni si difendono mettendo sul tavolo non le carte bollate ma il cuore. Tutti noi dobbiamo sforzarci di capire come un sacerdote catapultato in una realtà molto particolare come la nostra, fatta di riti secolari, fatichi a capirli ma soprattutto fatichi a sentirli suoi. Don Franco ha bisogno di sentire nel suo cuore, nella sua anima, quanto noi siamo legati a quelle tradizioni eredità dei nostri avi (compresa l’elezione del Parroco) che sono la nostra storia e la nostra identità, e questo puo’ avvenire solo mettendo davanti a lui i nostri cuori, la nostra indignazione e anche la nostra determinazione e non certo fredde carte bollate che non porteranno a niente.
A questo proposito vi propongo un esempio. Immaginate di trovarvi a Siena alla vigilia del Palio e di recarvi in una delle Chiese delle contrade, lì vi troverete al cospetto di un cavallo al centro della navata che viene benedetto dal sacerdote (video) (addirittura se il cavallo lascia un “ricordino” in Chiesa è buon segno), per noi che nel cuore non portiamo quelle tradizioni è una scena blasfema e di certo, se ne avessimo il potere, cacceremo dalla casa di Dio quell’animale. Eppure è un momento di profonda religiosità ma per viverlo e capirlo bisogna avere non solo la conoscenza della tradizione, ma averla assimilata, metabolizzata, occorre in sintesi essere nel profondo un contradaiolo.
Ecco spiegato il cavallo in chiesa del titolo. Per don Franco nuovo alle nostre tradizioni, alla nostra realtà culturale, le elezioni del parroco sono l’equivalente del cavallo a Siena. Non le capisce o, per meglio dire, il suo cuore non le ha ancora accolte. Ci vuole tempo, ci vuole pazienza ma alla fine dovrà rendersi conto che un buon pastore deve essere parte del suo gregge, ne deve sentire le emozioni e farle proprie, ne deve sentire la Storia e sforzarsi di sentirsi parte di essa. Come a Viterbo gridano i facchini della macchina di Santa Rosa dovrà un giorno anche lui gridare con noi “Semo tutti d’un sentimento” cioè siamo, io Vescovo e voi fedeli, una sola cosa, una sola emozione ed allora le elezioni saranno anche per lui una priorità. Solo allora sarà veramente uno di noi, il nostro Pastore, la nostra guida e, ripeto, questa meta si potrà raggiungere solo con una battaglia d’amore (per le tradizione e per la nostra Chiesa) e mai con le carte bollate.