23 novembre 2013

23 NOVEMBRE 1980 – IL RICORDO DI CIRO FERRIGNO

23 novembre 1980 - 23 novembre 2013

DOPO UN LUNGO VIAGGIO

306813_104455303094684_1696462567_n La botta era stata forte. La terra aveva tremato fin dalle sue viscere. Il panico era stato enorme soprattutto nei piani alti dei palazzi, quelli del Corso, Via delle Rose, Piazza Mercato, ma nella parte bassa del paese, quella più vicina al mare, erano cadute diverse case. Palazzi di fine Settecento, con le travi di legno, erano venuti giù, seminando terrore e morte.
Passato il momento iniziale e, presa coscienza dell’accaduto, la popolazione cominciò a riversarsi nelle strade, quando ancora cadevano intonaci, pietrame e pezzi di cornicioni. Quasi in tutte le case erano crollate pareti divisorie, erano caduti mobili, oggetti, quadri ed era chiaro che bisognava andar via subito.
Poi il sibilo sinistro delle sirene ed una voce dal megafono che invitava chi poteva a correre giù a Villa Fondi, all’ascensore, a Madonna di Rosella, per prestare soccorso, per scavare, per tirar fuori qualche mal capitato, rimasto vivo sotto le macerie. E corsero tanti uomini, giovani ed anziani e scavarono per tutta la notte con mezzi di fortuna o solo con le mani. Era inutile chiedere soccorso altrove; la radio parlava già di una catastrofe di dimensioni enormi, di interi paesi distrutti in Irpinia e Basilicata. Inutile chiedere aiuto ad altri. Nasceva, in quelle ore, la Protezione Civile di Piano di Sorrento.
Poi la lunga notte: il lampadario oscillava in continuazione; erano scosse di assestamento più o meno forti ed ogni volta il tintinnare dei vetri delle finestre, dei bicchieri nella cristalliera, lo scricchiolio dei mobili e quel tremore che porta nausea, un vuoto di testa, capogiro. Ogni volta, grida lontane di donna.
Tutti quelli che avevano voluto o potuto lasciare la casa si erano rifugiati nei giardini, con coperte addosso e avevano acceso fuochi di fortuna per riscaldarsi. Molti stavano negli spiazzi più lontani dalle case, in macchina a Trinità, a Mortora, ai Colli e si intravedevano dai vetri volti di bambini sonnolenti, vecchi con le lacrime agli occhi ed uomini vigili. Il terrore era per una probabile replica, sempre possibile, si diceva, nelle ventiquattro ore dalla prima.
Una sola finestra quella notte era accesa: quella del Comune. L’Architetto, il nostro Sindaco, sedeva già al Suo posto.
Poi venne l’alba, quella del 24 novembre 1980, e, nel suo livore, ci mostrò tutte le ferite aperte: i morti, undici morti, Villa Fondi crollata, macerie all’ascensore, macerie a Madonna di Rosella, un gran numero di case lesionate, il timpano della Basilica di San Michele crollato, il campanile fortemente lesionato alla base. Gravemente danneggiate le chiese di Santa Teresa, di Trinità, di Mortora, ovunque muri crollati, strade transennate alla meno peggio, pietre in bilico pronte a cadere, cornicioni pericolanti, fili elettrici e telefonici spezzati.
Ma poi il dolore e la sofferenza lasciarono spazio alla suprema poesia di un popolo che si ritrova. Per le strade era un abbracciarsi continuo, un baciarsi, contenti di esserci, come appena tornati da un lungo viaggio che si temeva senza ritorno. E cominciarono anche i racconti di tutti quegli atti di eroismo ed altruismo che si erano verificati nelle case al momento del disastro. Malati, vecchi, bambini, persone inabili sollevati di peso dai loro letti e trascinati giù in strada per scale che ancora scricchiolavano, le alte scale di legno dei contadini e le corde gettate alle finestre per salvare persone rimaste intrappolate in casa e una donna, sola, carica del genitore sulle spalle, dal quinto piano alla strada come un’immagine presa in prestito dai libri di letteratura. Quando c’è amore la storia si ripete, non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Poi oggetti, ricordi, immagini di madonne e di santi strappati ai muri nella corsa tumultuosa verso la salvezza, più che il danaro, gli effetti personali, i gioielli.
Ci abbracciavamo tutti, non solo tra amici, ma anche tra persone sconosciute o odiate fino a qualche tempo prima. Era il giorno dopo e tornavamo tutti in piazza per contarci, forse eravamo anche felici, perché finalmente eravamo tutti assieme, pronti a dividerci anche un tozzo di pane.
Ma eravamo stanchi: tornavamo tutti da un lungo viaggio.

Ciro Ferrigno
Da “Storie di paese”
Longobardi Editore 2008

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